Un
ritaglio del Corriere della Sera dell’11 settembre 1879. Un annegato,
forse
suicida. Un nome, anzi due, Alessandro Antonio. Nessun cognome. Un caso
chiuso
in fretta. Ma su di lui sarebbe caduta la gogna di un tremendo
passaparola. Un
incontro a Milano nel 1994. Un vecchio nipote dell’annegato affida quel
ritaglio a uno sconosciuto per trovare una verità che riabiliti il
nonno da
ogni ombra. Non si rassegna di vederne la memoria infangata da
illazioni
gravissime: l’aver ucciso delle bambine e
abusato delle loro intimità. “Mio nonno non avrebbe fatto male ad una
mosca! Un
uomo che ama la montagna non può fare quelle cose lì!”. Lo sconosciuto
lavora a
Milano ma abita proprio fra i monti dell’Alta Valle Seriana: Ardesio,
il paese dove
fatti innominabili e innominati di un secolo prima sono rimasti sospesi
fra
verità e dicerie. Una ricerca difficile. Pochi risultati nelle cronache
locali di
quel 1878. Tracce. Piccole. «Una grave notizia corre per la valle
nostra,
destando sensi di disgusto e sorpresa in molte famiglie». «Turpitudini
innominabili...». Il filo di Arianna di quei ritagli conduce alla
segheria di Antonio,
il vecchio nipote che porta lo stesso nome dell’annegato. Montanaro di
poche
parole, parole di verità. Frammenti. Così il nostro scrittore si trova
a
praticare quell’arte che a lui tanto piace. «I giapponesi la chiamano:
kintsugi, arte delle preziose cicatrici. È un’operazione ricercata, va
oltre la
conservazione ostinata di un oggetto, dà senso alle cose, alla vita.
l’oro o
l’argento ricuciono i frammenti, ridando lustro ad un oggetto. Il
perdono può
superare una rottura e l’amore ricomporre un conflitto; ecco perché amo
il
Kintsugi». È il procedere dell’autore nel ricostruire i fatti di tre
tragiche
estati, quando i lupi, anzi il Lupo, si prese colpe non sue, e il
branco ne fu
sterminato, ma poi ebbe vendetta. E l’autore lo fa in una forma che
avvince e sorprende
delineando fatti e caratteri, vizi nascosti, virtù ingannatrici,
ipocrisie,
debolezze ammantate di autorità, situazioni cosi ben narrate che pare
di sentirne
i sussurri e i sospiri. La commozione trattenuta, e quindi più
profonda, per quelle
bimbe pastorelle all’alpeggio, una dopo l’altra violata e uccisa. Non
si può
dire di più perché il romanzo è un noir e deve rispettarne le regole.
Presentiamo allora i personaggi. Ombra è il lupo, il nobile capobranco,
che il
Tone, boscaiolo solitario nella sua capanna fra i boschi, ammira. Il
Tone
innamorato ricambiato da Gloria. Due figure che si ergono per carattere
e grandezza
morale. E poi in ordine di apparizione sulla scena del romanzo: il
giovane don
Lionello, fresco presbitero, predicatore raro e prezioso, venuto per
dar man
forte al vecchio parroco, don Giuseppe, nella stagione estiva. La
montagna è la
sua gran passione, “dopo l’amore per Cristo, s’intende”. In canonica fa
da
perpetua la nipote del parroco, la Ligia, detta Luigia, rimasta vedova
nel fior
degli anni. In canonica, con un garbo fra il malizioso e l’innocente,
ritrova i
mancati piaceri sponsali con i notabili del paese, primo fra tutti il
capo
delle guardie.
Dopo
due bimbe uccise, nell’estate successiva toccò a Elena. L’aveva trovata
il
Tone. Distesa con le braccia aperte: «Non poteva lasciarla lì, i corvi
e altri
animali l’avrebbero presa... Il corpo ancora tiepido, dissanguato, più
bianco della
neve. La pietà avrebbe prevalso su qualsiasi altra idea... Ma quali
lupi! Il
taglio nella gola era talmente netto che quasi le staccava la testa.
Una
discesa piangente, con quel fardello leggero... Non
era un peso per il Tone... Elena era purtroppo
la sua sconfitta, un fiore colto, strappato alla terra... Le indagini
dell’imbelle
capoguardie condussero in carcere persino il povero vecchio e grasso
parroco,
che mai avrebbe potuto salire la montagna... C’era una lista: Agnese,
Veronica,
Elena, Maria Grazia, Angela, Rina, Irma, Anna Maria... Sentenze per
bambine,
alcune eseguite, altre in attesa di esecuzione...